Quando il traditore è in casa: indagini digitali e responsabilità nell’era del dipendente infedele
- yurilucarini
- 19 giu
- Tempo di lettura: 6 min
Aggiornamento: 5 lug
Quando si parla di minacce interne alle organizzazioni, spesso si pensa a scenari estremi, a eventi rari. Eppure, una delle insidie più comuni e pericolose arriva proprio da chi conosce molto bene l'azienda: il dipendente infedele. Non si tratta solo di violazioni disciplinari o di comportamenti poco etici. Parliamo di azioni che, in certi casi, sfiorano o oltrepassano il confine della rilevanza penale: sottrazione di dati riservati, diffusione di informazioni strategiche, accessi non autorizzati ai sistemi aziendali, fino a veri e propri atti di sabotaggio informatico.
Il tutto accade spesso in silenzio, dietro una tastiera. In un mondo del lavoro sempre più digitalizzato, le tracce lasciate dal dipendente infedele non sono soltanto documenti o testimonianze, ma anche file, log, email, cronologie. È qui che entra in gioco l’informatico forense. Una figura ancora poco conosciuta, ma centrale quando si tratta di indagare su condotte scorrette in ambito lavorativo. Il suo compito? Ricostruire ciò che è accaduto, analizzando con rigore scientifico i dati digitali e trasformandoli in prove utilizzabili in un contesto legale.
Questo articolo nasce con l’intento di esplorare a fondo il ruolo dell’informatico forense nelle indagini sui dipendenti infedeli. Parleremo delle tecniche utilizzate, delle difficoltà normative legate alla raccolta delle prove digitali, e condivideremo casi concreti che aiutano a capire perché queste competenze siano diventate indispensabili anche per avvocati, consulenti del lavoro e responsabili HR.
Capire il fenomeno del dipendente infedele non è solo una questione di sicurezza aziendale: è un tema che coinvolge direttamente la responsabilità dei datori di lavoro, la tutela dei dati e la corretta gestione delle crisi. Affrontarlo oggi significa dotarsi di strumenti adeguati, competenze trasversali e, soprattutto, della capacità di leggere i segnali prima che il danno sia compiuto.
Il ruolo dell’informatico forense: tra scienza, metodo e responsabilità
L’informatico forense non è un “hacker buono”, né un semplice tecnico informatico con qualche competenza in più. È un professionista specializzato nell’analisi tecnica dei dispositivi digitali al fine di ricavare elementi di prova che abbiano validità in un’indagine o in un procedimento giudiziario. Il suo lavoro si colloca a metà strada tra il sapere informatico e la disciplina giuridica: ogni passaggio deve essere documentato, replicabile, verificabile, rispettando standard internazionali e vincoli normativi.
Nelle indagini aziendali legate alla figura del dipendente infedele, l’informatico forense ha un compito cruciale: raccogliere e conservare in modo integro e legittimo le evidenze digitali. Questo significa operare su computer aziendali, smartphone, email, server di rete, cloud, documentando ogni attività in modo che le informazioni acquisite siano utilizzabili in sede di contenzioso. La catena di custodia è un principio cardine: qualsiasi alterazione può compromettere la validità probatoria del materiale raccolto.
Ma non basta saper «copiare un hard disk»: l’informatico forense deve conoscere i limiti legali dell’attività investigativa in azienda. Deve sapere, ad esempio, che l’accesso a determinati dati può essere lecito solo se previsto da una policy aziendale chiara e formalmente accettata dal dipendente. Oppure che l’analisi di una casella di posta aziendale deve essere giustificata da indizi concreti di condotta illecita e gestita con criteri di proporzionalità e minimizzazione, in linea con la normativa GDPR.
In questo contesto, il lavoro dell’informatico forense non è mai solitario. Richiede un coordinamento stretto con il legale dell’azienda, il responsabile della sicurezza, talvolta anche con il consulente del lavoro. È un lavoro di squadra, dove il rigore tecnico si coniuga con la strategia difensiva. ( qui voglio dare subito un consiglio pratico ….in un mio caso reale il proprietario del azienda voleva che io accedessi al WhatsApp web del impiegato che lo aveva connesso al computer aziendale …. ATTENZIONE….l’accesso abusivo al sistema informatico è dietro l’angolo…quindi NON è una buona idea…..)
Quando fatto correttamente, il contributo dell’informatico forense permette di trasformare un sospetto in una prova concreta, evitando improvvisazioni, violazioni di legge e, soprattutto, garantendo che i diritti delle parti coinvolte siano sempre rispettati.
Tecniche investigative digitali: dove cercare, come analizzare
Quando si sospetta una condotta illecita da parte di un dipendente, la domanda iniziale è quasi sempre la stessa: "Da dove cominciamo a cercare?". E la risposta, in genere, è più vicina di quanto si pensi: il computer aziendale, lo smartphone, le email, i documenti salvati sul cloud. Questi strumenti sono miniere di informazioni, ma vanno analizzati con metodo.
Una delle tecniche più utilizzate è l’acquisizione forense delle immagini disco. Non si tratta di una semplice copia dei file, ma di una duplicazione bit-per-bit dell’intero contenuto di un dispositivo, che permette di accedere anche a dati cancellati o nascosti. Poi ci sono i log di sistema: tracciano chi ha fatto cosa, quando, e da dove. Dettagli preziosi, soprattutto nei casi in cui il dipendente abbia tentato di “ripulire le tracce”.
Un altro aspetto fondamentale è l’analisi della posta elettronica. Non solo i messaggi inviati o ricevuti, ma anche le bozze, gli allegati cancellati, i metadati. E ancora: file Excel nascosti tra le cartelle, chiavette USB inserite poco prima delle dimissioni, accessi a siti di file sharing non autorizzati. Tutto può avere valore, se interpretato correttamente.
Ovviamente, nulla di tutto ciò può essere improvvisato. Serve una procedura chiara, strumenti certificati, competenze aggiornate. E soprattutto: la consapevolezza che ogni passaggio può finire sotto la lente di un giudice.
Tra privacy e giurisprudenza: il difficile equilibrio normativo
Uno degli aspetti più delicati delle indagini sul dipendente infedele è il rispetto delle norme sulla privacy. Siamo in un terreno complesso, OSEREI DIRE MINATO……( Ecco il mio piccolo consiglio …fatevi dare mandato dall avvocato della ditta ad “indagini difensive”….potrebbe esservi di aiuto sia a Voi che in Tribunale) … dove si incrociano il diritto del datore di lavoro alla tutela del proprio patrimonio e quello del lavoratore alla riservatezza.
Il punto di partenza, come accennato, è la trasparenza. Le aziende devono adottare policy chiare, che informino il dipendente circa i controlli possibili e le modalità con cui vengono effettuati. In assenza di queste regole, anche la prova più evidente rischia di diventare inutilizzabile.
La normativa europea, in particolare il GDPR e le linee guida dell’European Data Protection Board (EDPB), impone che ogni trattamento di dati personali sia legittimo, proporzionato e minimamente invasivo. In pratica: se posso ottenere lo stesso risultato con un controllo meno invasivo, devo scegliere quello.
In giurisprudenza, le Corti europee hanno più volte sottolineato l’importanza del bilanciamento tra interessi contrapposti. In particolare, la sentenza della Corte EDU nel caso "Barbulescu v. Romania" (2017) ha stabilito che i controlli sulla posta aziendale sono ammissibili solo se il lavoratore è stato preventivamente informato e se il monitoraggio è giustificato, limitato e non arbitrario. ( Qui apriamo il vaso di Pandora…..quanti di voi CTP …hanno trovato una vera e seria policy aziendale fatta firmare ai dipendenti ??!! – Ditemi la Vostra nei commenti …)
Insomma, anche quando il sospetto è fondato, l’azienda non può agire d’impulso. Ogni iniziativa investigativa deve essere costruita con attenzione, tenendo conto non solo della tecnica, ma anche del diritto. Ed è qui che il lavoro sinergico tra legali e informatici forensi fa davvero la differenza.
Come agire in modo corretto: la prassi che tutela (davvero) l’azienda
Dal punto di vista di un avvocato esperto in diritto del lavoro e privacy, il primo passo da compiere quando si sospetta un comportamento infedele è sempre uno: fermarsi e ragionare con metodo. L’impulso a “guardare subito nei file” o a “fare una verifica veloce delle email” può costare caro. Invece, conviene costruire un piano di azione fondato su quattro pilastri operativi:
Formalizzare l’incarico – L’azienda dovrebbe incaricare formalmente un legale o un team legale interno di valutare la situazione. Questo atto tutela anche sotto il profilo della riservatezza, attivando il segreto professionale e creando una barriera legale (legal privilege) su alcune comunicazioni.
Valutare la legittimità del controllo – Prima di raccogliere qualunque dato, è essenziale verificare se la policy aziendale sui controlli è aggiornata, chiara e accettata dai dipendenti. In mancanza, l’acquisizione delle prove potrebbe essere ritenuta illegittima o inutilizzabile in sede giudiziale.
Incaricare un informatico forense – Non basta un IT interno. Serve un professionista terzo e qualificato, che sappia operare secondo standard riconosciuti (es. ISO/IEC 27037) e documentare ogni passaggio dell’acquisizione. L’obiettivo è duplice: garantire l’integrità del dato e assicurare la sua futura opponibilità in giudizio.
Supervisione legale costante – Durante tutta l’indagine tecnica, è fondamentale che il legale segua da vicino ogni attività, autorizzando solo quelle davvero necessarie, vigilando sul rispetto del principio di minimizzazione dei dati e predisponendo la corretta documentazione di supporto (verbali, informative, notifiche eventuali al Garante, ecc.).
Solo muovendosi con questa prudenza strategica l’azienda potrà non solo scoprire la verità, ma farlo in un modo che sia difendibile in sede giudiziale e rispettoso dei diritti del lavoratore.
Gestire correttamente un caso di dipendente infedele è una sfida che mette alla prova la solidità delle politiche aziendali, la lucidità del management e la capacità di lavorare in squadra tra legali e tecnici. Non basta individuare il colpevole: bisogna farlo nel rispetto delle regole, senza compromettere la posizione dell’azienda e dei suoi dirigenti. In un’epoca in cui il dato è spesso il vero patrimonio aziendale, dotarsi di una strategia investigativa fondata, documentata e legittima è più che una necessità: è una forma evoluta di responsabilità.
Chi si occupa di risorse umane, chi dirige un’azienda, chi fornisce consulenza legale o informatica non può più ignorare l’importanza delle digital forensics. E, soprattutto, non può improvvisare. In questo campo, il dilettantismo si paga. Caro.
Spunti di discussione
Qual è il giusto equilibrio tra diritto alla privacy e tutela del patrimonio aziendale?
Le policy di controllo tecnologico sono davvero conosciute (e comprese) dai dipendenti?
Quanto è diffusa, nelle imprese italiane, la cultura della prevenzione rispetto al rischio del dipendente infedele?
In quali casi è consigliabile avviare subito un’indagine forense?
Come possono lavorare insieme – davvero – avvocati, HR e informatici forensi?
Yuri Lucarini Informatico Forense – Criminologo

Comments